quando sonava la scola

Data 14/4/2009 23:23:23 | Categoria: Letture e racconti

Dal cassetto dei ricordi
Vi è capitato di ritrovare certi luoghi o ambienti dell’infanzia a distanza di tempo, più piccoli, ridotti di come le immaginavamo?
A me è accaduto il contrario, parlo del “ Palazzo scolastico” di Ficulle. Ci sono ritornata dopo 36 anni, ed ho costatato che aveva mantenuto la sua ampiezza  e maestosità  un simbolo di rispetto, un passaggio obbligato della vita dei ficullesi.
So che è un edificio antico, ristrutturato ed adeguato alle esigenze odierne; è stato un fiore all’occhiello della nostra comunità, c’era la Direzione Didattica da cui dipendevano i paesi limitrofi.
Ai mieti tempi, vi si accedeva dai cancelli che danno sulla statale, al piano terra c’era un’ala destinata all’asilo; le nostre maestre erano suor Genoveffa, severa e suor Serena più dolce e carina.

Eravamo tanti bambini con i nostri grembiuli a piccoli quadretti confezionati in casa, il mio era unico, si lavava il sabato e doveva durare tutto l’anno. Per giocare ci davano dei punteruoli con cui punteggiare dei disegni posti sopra un feltro, i più grandi potevano cucire con l’ago dei cartoncini, le nostre costruzioni erano avanzi di falegnameria.
Ricordo un armadio chiuso a chiave, da dietro il vetro potevo ammirare delle vere costruzioni: un Pinocchio di legno con la casacchina rossa, un cagnolino di  stoffa (giocattoli “buoni”) che non si potevano sciupare, finchè una mattina venne un signore con una grossa macchina fotografica. Le suore in fretta hanno tirato fuori dalla vetrina i sospirati giocattoli e mettendoci a turno intorno al collo, un bavero inamidato con la scritta “Asilo Infantile”, ci hanno messo in  posa per la foto: finalmente potevo toccare quei giocattoli anche se solo per un “lampo”.
Allora bisognava essere autosufficienti, raccogliere spesso le nostre paure ed andare; una mattina al risveglio mi sono ritrovata sola in casa, c’era il lavoro dei campi e tutti dovevano contribuire, così venivo spesso affidata ad una vicina di casa. Quel giorno volli fare da sola, vestita di tutto punto ho preparato la mia merenda con due fette di pane e olio, incartato alla meglio e messo dentro il mio cestino di cartone marrone, già unto. Arrivata al palazzo scolastico vidi che non c’era nessuno così mi sono seduta sul muretto della recinzione ad aspettare che sonasse la “scola”, le suore accortesi della mia presenza mi hanno fatto entrare. Un giorno al momento dell’uscita si scatenò un violento temporale, pensavo con timore di doverlo affrontare per tornare a casa, ma all’uscita trovai per prendermi mio fratello Tullio che mi avvolse in un nero e rigido impermeabile (forse ricordo della  passata guerra) e con questo fagotto in braccio ed incurante della pioggia mi portò a casa. Lui è un fratello speciale, era l’unico che sopportava la mia lagna, quando andava a giocare a pallone al prato, mi portava con se, sistemandomi sotto l’albero di noci e affidandomi, per farmi divertire, le sue palline buone di vetro e non quelle di coccio; mi compiacevo del fatto che di tanto in tanto voltava lo sguardo verso quell’albero per sorvegliarmi. Le piaceva molto recitare, così mi faceva entrare gratis al teatro di Ficulle, memorabile furono le rappresentazioni della Zia di Carlo e Cappuccetto Rosso, dove faceva la parte del lupo. Lui non finì la scuola, andava a riparare e fare scarpe, spesso si recava anche a casa dei contadini  con la sua valigia di legno piena di arnesi del mestiere; veniva pagato con beni in natura, aiutando così la famiglia. Nel bisogno non si teneva conto dell’istruzione, ma un giorno riprese a studiare per ottenere il suo diploma , ci riuscì e nell’agosto del ‘58 partì. Al momento non capiì il perché, me  ne resi conto quando ci arrivarono da Iglesias delle foto di un giovane con la divisa grigia da carabiniere, era riuscito ad entrare nell’Arma, da allora è tornato solo saltuariamente a Ficulle, ora capisco quanto può essergli stato doloroso lasciare la famiglia, amici luoghi cari per farsi un avvenire.    
Le classi delle elementari erano ampie e per riscaldarle c’era una stufa di terracotta a due piani sui quali mettevamo dei pezzi di legno, servivano per scaldarci le mani piene di geloni.
I banchi avevano un buco per  il calamaio che veniva riempito dalla Gina, per scrivere si inzuppava una penna con un pennino appuntito, intercambiabile; finita la pagina si doveva asciugare con una carta assorbente prima di voltarla. Certo che con questo intingolo avvenivano dei disastri, come macchie e calamai rovesciati, ma la tecnologia ci venne in aiuto con la penna a sfere la  “biro”.
Nel profitto non brillavo, mi piaceva giocare, in terza fui rimandata in italiano e mia madre mi fece dare ripetizione da una persona “dolce” , insegnante appena sposata “ Andreina”, quanto impegno metteva nell’inculcarmi l’analisi grammaticale e lo faceva disinteressatamente.
In quarta e quinta avevo il maestro Sergio, molto severo, anche con i compagni più studiosi; già da allora si poteva intuire chi sarebbe andato avanti negli studi, come poi è avvenuto, con piacere posso dire che persone importanti, insegnanti, sono stati miei compagni di classe.
La sera c’era il  “Centro di lettura”, potevamo scegliere libri da leggere sotto la guida della maestra Alceda che puntualmente ci faceva fare un riassunto dei libri letti.
Usufruivo del Patronato scolastico, una lodevole iniziativa per aiutare gli alunni bisognosi, per me era motivo di imbarazzo quando il maestro mi chiamava accanto alla cattedra per consegnarmi i quaderni dalla copertina nera numerando le pagine per non farmeli strappare, io mi consolavo subito, poiché quei  quaderni avevano il bordo rosso che bagnato diventava un rossetto per labbra.
Durante la bella stagione ci fermavamo a giocare dietro il palazzo scolastico, c’era una prova di coraggio da fare, passare da una parte all’altra dell’edifico passando da una intercapedine stretta e buia, una volta ci ho provato anch’io e sono rimasta bloccata, la paura fu grande che non ci ho più riprovato.
Ci  sarebbero tanti altri ricordi legati alla scuola, posso dire che con il tempo mi è mancato il suono di quella campana alle 8,30, un richiamo per noi bambini e un riferimento per tutto il paese.
Mezzetti Rita Scuola  media  di Ficulle




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