Il Natale di Valentina

Data 21/12/2013 20:04:07 | Categoria: Letture e racconti

NataleValentina abitava l’ultimo banco in classe. Se ne stava quasi sdraiata, non c’entrava bene. Sembrava sempre ai limiti del sonno. Ma se i professori provavano ad interrogarla non riuscivano mai a sorprenderla, si alzava lenta, rispondeva, si sedeva di nuovo, sempre mezza sdraiata. Le sue risposte erano sempre esatte.
Anche i compagni avevano imparato a non infastidirla. Del resto lei non dava fastidio a nessuno. Arrivava lenta, e lenta ripartiva.
Va- lentina..
A dir la verità, qualcuno ci aveva provato, il primo anno, a chiamarla Valentona; ma poi erano girate strane voci, leggende metropolitane, probabilmente…nessuno ne parlava volentieri. Fatto sta che avevano smesso, anche i più bulli.

A casa era lo stesso. Stava quasi sempre in camera, sdraiata. Si alzava solo per andare a cena, quando suo padre la chiamava. Pensava: mio padre non è un’aquila. Ma era un uomo mite, e per di più se la cavava in cucina. Non che Valentina apprezzasse i sapori. Mangiava tutto, fino all’ultima briciola, poi si sdraiava sul divano. Suo padre qualche volta aveva provato a parlarle, ma presto aveva smesso, smesso di parlare e smesso di alzare gli occhi su quel viso sempre più largo, chiaro e inespressivo come una luna. Lei non lo guardava mai; dopo cena, sdraiata sul divano, mangiava patatine, biscotti, croste di pane, tutto ciò che avanzava in casa.
Poi saliva in camera sua. La notte leggeva fino a farsi bruciare gli occhi. Scendeva in cucina e inghiottiva tutto ciò che era commestibile, il barattolo grande dei pelati, o interi vasi di maionese. Cercava di non vomitare mai, perché odiava quel senso di vuoto che poi avvertiva nello stomaco. Era come un buco, una voragine, una stella morente che la risucchiava da dentro. Avrebbe voluto riempirsi fino a sentire quel vuoto colmarsi, fino a tendere tutta la pelle, fino ad esplodere in minuscole scintille lucenti…raggiungere le galassie, creare nuove costellazioni con un loro senso proprio.
Valentina grande e grossa, Valentina esplosa in mille luminose, incorporee stelle..…
Sognava il suo cielo così nero e bello, un telo da illuminare, e finalmente si addormentava.
Veniva anche quest’anno Natale. Suo padre tirava fuori dallo stanzino gli scatoloni, si ostinava a fare l’albero e anche il presepe. Valentina aveva smesso da quando la madre era morta. Stava sdraiata sul divano, non lo guardava trafficare. A volte se ne saliva direttamente in camera, era forse l’unica comunicazione con lui: mi dai fastidio perché fai queste scemenze me lo sai dire, io me ne vado di sopra almeno non ti guardo. Stavolta erano ancora agli inizi di novembre e lui già cominciava i suoi preparativi.
Qualche volta parlava da solo “ Me ne andrei a Napoli, a vedere qualche statuina nuova” tirava fuori i pezzi uno ad uno. Valentina masticava caramelle, non gli rispondeva.
Niente di nuovo sotto il sole.
Anzi, qualcosa sì.
Il fatto è che stava dimagrendo. Non che lei si pesasse, la bilancia era sparita da anni, ma quelle tute sformate che indossava da tempo cominciavano a calarle in vita. Il maxi reggiseno le faceva pieghe sulle coppe. Eppure lei mangiava come sempre. Un fatto le dette la conferma: a scuola davanti a lei sedeva Carla, la più carina della classe. Quella mattina si era girata e l’aveva squadrata in quel modo odioso che usava qualche volta, dalla testa ai piedi, senza guardarla negli occhi, come fosse un oggetto. La detestava quando faceva così. E poi aveva detto “Valentina, era ora, non posso crederci che ti sei messa a dieta”. Gianni, che era appoggiato accanto a lei, l’aveva guardata alzando le sopracciglia. Valentina era arrossita come una stupida, perché mai dimagriva? Non voleva, non voleva che qualcuno la guardasse, che notasse qualcosa. Dovevano farsi gli affari loro.
A casa non ce l’aveva fatta a sdraiarsi, si era messa a studiare a tavolino, a testa bassa, fino a sera.
Qualche giorno dopo non poteva più far finta di niente, dovette stringere l’elastico della tuta e si costrinse a parlare a suo padre “Mi servono un po’ di soldi” “ Certo” suo padre sollevò lo sguardo dalle lucette di Natale “per cosa?” Sorrideva. Lei arrossì di nuovo. Ma che era questa cosa di arrossire adesso. “Devo comprare della biancheria” lui ripeté “certo” e poi sembrò un attimo sovrappensiero “prendili pure dal mio portafoglio” e tornò a trafficare.
La mattina dopo era in bagno e si scioglieva i capelli. Li teneva sempre pulitissimi, stretti stretti in due assurde trecce. Dopo averli lavati e sciacquati li gettò indietro davanti allo specchio, schizzandolo tutto. Con la mano prese lo straccio e iniziò ad asciugarlo, e d’un tratto si immobilizzò. Nello specchio due occhi la fissavano, dentro un volto sconosciuto. Occhi bellissimi in un viso così caro.. La sua faccia non era più una luna, la pelle trasparente rivelava forme sotterranee, un tesoro pulito e nuovo. Abbassò gli occhi e sentì qualcosa muoversi dentro di sé. Qualcosa che d’un tratto si arrendeva.
A scuola Carla quel giorno non c’era e Gianni si sedette al suo posto. Alla fine delle lezioni si alzò e riempì lo zaino di fronte a lei.
“Valentina, lo sai che sei proprio particolare?” la guardava fissa negli occhi, era serissimo. Lei stavolta non arrossì e pensò invece che Gianni non era quel deficiente che le era sempre sembrato. Anche lui doveva essersi accorto della donna nascosta.
A tavola non ce la faceva più a mangiare come prima. Suo padre le riduceva le porzioni nel piatto, ma le pareva anche che le sistemasse il cibo in un modo più carino, le salsette colorate sopra la carne e le uova, i piccoli pomodori accanto alle insalate, un velo di cioccolata sulla pasta frolla.
Si sdraiava ancor più volentieri sul divano, la sera era stremata, ma non sgranocchiava più. Guardava le lucine dell’albero che suo padre aveva acceso.. già, era l’otto dicembre. Finiva con l’ipnotizzarsi con quelle lucine, anch’esse sembravano piccole stelle..
A scuola la sorpresero senza risposta più di una volta. La prima a stupirsene fu lei stessa. Gianni si voltava, quando succedeva, e le strizzava l’occhio. Mica glielo aveva più restituito, il posto, a Carla.
Quando uscivano lui l’aspettava sempre. Fuori dal portone si dividevano, lui a destra, a prendere il motorino, lei a sinistra, a piedi. Ma quel giorno lui si fermò. Erano usciti tutti. La guardava di nuovo molto serio, e senza dir niente le sciolse una treccia: ci faticò perché l’elastico era stretto, i capelli ancor più stretti.
Ma come si permetteva…chi era mai.. Valentina non riusciva a spiccicare parola. Gianni strofinava quell’oro rosso fra il pollice l’indice “ Ma guarda qui che roba, ma guarda…” Sciolse anche l’ altra, e si mise gli elastici in bocca, masticandoli energicamente “Ma che fai?!” Valentina fece per picchiarlo ma lui scappò veloce, poi si girò e sputò gli elastici lontano.
Maledetto Gianni. Da quel giorno portò i capelli sciolti sulle spalle. Mica si era resa conto di quanto si fossero allungati. La gente si voltava a guardarli…a guardarla? Possibile? Pure i ragazzi. E pure quell’odiosa di Carla.
Se non fosse stato per quella stanchezza… e per quei maledetti brufoletti che le stavano riempiendo il corpo.. Non li aveva avuti con lo sviluppo, dovevano arrivare a 18 anni? Non riusciva a studiare come prima, nemmeno a stare attenta a lezione, quello una volta le bastava, per lo più, per imparare. Ora le riusciva faticoso persino leggere.
Gianni adesso veniva con l’autobus, chissà perché. Poi all’uscita l’accompagnava fino a casa e da un po’ aveva preso l’abitudine di reggerle lo zaino. Lei aveva provato a protestare, ma in realtà trovava lo zaino così pesante… Era il giovedì prima delle vacanze di Natale, e lui le stava raccontando delle prossime giornate piene di amici e parenti, della sua casa sempre affollata…tutti quei discorsi all’improvviso le fecero girar la testa, si sentì un velo nero sugli occhi e cadde per terra.
Quando si svegliò era al Pronto Soccorso, Gianni era seduto accanto a lei e la guardava preoccupatissimo “ tranquilla, sei svenuta ma ti ho retto, non t’ho fatto battere la testa.” “grazie” la voce era un sussurro “E’ da un po’ che non ti reggi in piedi…secondo me esageri con questa dieta. Mica vorrai diventare la più bella della scuola, eh’ guarda che sono geloso!”
Arrivò l’infermiera, aveva un viso preoccupato “lei è un parente? “ Gianni fece una faccia buffa. “E’ il mio ragazzo! “ affermò Valentina di botto. Lui non batté ciglio. “Sta arrivando il dottore, abbiamo fatto il prelievo; dobbiamo informarla sui risultati dell’emocromo-sembrava imbarazzata- sarebbe meglio che lui si allontanasse” Valentina voltò il viso verso Gianni, era pallidissima “Ma io vorrei che restasse” “Quanti anni hai?” “18” “Va bene allora. Se vuoi puoi avvisare i tuoi genitori. Dopo faremo la cartella”
L’infermiera uscì e lui le strinse la mano. Era tutta sudata, eppure sentiva un freddo…
“Vuoi che chiamiamo tua madre? Ah ..scusa che imbecille…tuo padre volevo dire…scusa” ora era lui ad essere tutto rosso, meno male, succedeva a tutti! L’imbarazzo fu rotto dall’arrivo del dottore. Non era di molte parole, li salutò appena, si mise subito a visitarla
“Sono tutta sudata, mi spiace…”
“Sei rotondetta, bene…quanto pesi?”
“68 kg, è troppo?”
Il dottore la guardò in modo strano “Macchè troppo, sei abbastanza alta. Ma dimmi, hai sempre pesato così? “ Di nuovo quel rossore.. ”Ecco…io …pesavo un po’ troppo prima.. ma non so di preciso quanto..”
“Hai fatto una dieta? Da quando hai iniziato a dimagrire? E da quanto hai questi foruncoli?” “No, a dir la verità no… ” Gianni sollevò il viso verso di lei, poi verso il dottore. Valentina lesse nel suo viso prima che dentro di sé. Lesse la paura.
Due giorni dopo erano iniziate le vacanze di Natale. Valentina si alzò presto. Non che avesse dormito molto…aveva messaggiato con Gianni fino alle tre, a parlare d’amore, a parlare di leucemia. E poi aveva riguardato il cielo, e tutte quelle incredibili stelle delle notti gelate.
C’era una cosa nuova che la riempiva tutta, dentro la scomparsa della tristezza c’era la sua voglia grandissima voglia di vivere. Ci si svegliava e ci si addormentava, così, come se nulla fosse.
Si sostenette alla ringhiera per scendere, ma si affrettò a togliere la mano non appena scorse suo padre; era accucciato di fronte al presepe, sistemava le ultime statuine. Lei si fermò dietro di lui e guardò la capanna, dove Giuseppe e Maria aspettavano a braccia aperte, ai lati di una culla ancora vuota
“Ti ricordi papà..” Le sembrò di avvertire in lui un impercettibile sobbalzo.
Continuò cercando di tenere la voce ferma, lo sapeva benissimo, però, che da anni non lo chiamava più papà. Papà.
“Dicevo…ti ricordi di quando la mamma mi faceva scrivere un fioretto a Gesù bambino e mi faceva arrotolare il bigliettino.. e poi me lo metteva lei sulla mangiatoia vuota? “ Si accucciò accanto a lui. Lacrime grosse cadevano a terra, mi sa anche mie, pensò Valentina “La mattina trovavo Gesù bambino e la mamma mi diceva che era stato contentissimo del mio fioretto, e che mi aveva lasciato un bel regalo, perché ero una brava bambina e me lo ero meritato davvero. Una bambina che faceva sempre felici la sua mamma e il suo…” poi non riuscì a dire più niente e continuò il pianto addosso al suo papà.
La sera della vigilia aveva pronto il bigliettino. Lo posò sulla mangiatoia.
TI PROMETTO CHE SE GUARISCO AMERO’ OGNI SINGOLO GIORNO DELLA MIA VITA
Stava per togliere le mano, ma lasciò che il dito indice indugiasse un poco sulla carta arrotolata.
“ E anche se non guarisco..”
Sembrava che niente potesse scuoterla.
Fu quasi un sussurro, dentro di sé.





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